lunedì, giugno 30, 2008

Sotto lo striscione

Avevo messo questo Pride in un piatto del sacrificio. Offrivo il mio politico al mio privato.
Ma poi, è arrivata una luce e mi sono messa in macchina e sono andata.
Là, all'ombra dello striscione.
Pe voi che non ci siete mai stati, incollo il discorso finale di Giuseppina La Delfa, grande persona, nonchè bellissima amica. Discorsi che se ascoltati dal popolo GLBT hanno un senso ma dovrebbero essere ascoltati da tutto il popolo.



Discorso dal Palco del Bologna Pride – 28 giugno 2008 di

La Delfa Giuseppina Presidente di
Famiglie Arcobaleno
associazione di genitori omosessuali


Sono 38 anni che facciamo i Pride. E siamo tutti un po’ stanchi di ripetere e chiedere le stesse cose anno dopo anno. Ma dire che i Pride non sono serviti a nulla sarebbe falso : ognuno è servito, mai come ora si è parlato di omosessualità.

Ma certo non pensavamo che sarebbe stato così difficile ottenere dignità e rispetto.
Quelli che dovrebbero essere i nostri interlocutori privilegiati, i politici che fanno le leggi, fanno finta di non vederci e di non sentirci.

Domani probabilmente, nei giornali, avremo il solito silenzio vergognoso della politica timida e paurosa e ipocrita e i soliti insulti da quella demagoga che nutre l’ignoranza e la violenza.

E come al solito qualcuno farà finta di scandalizzarsi perché abbiamo portato i nostri figli al pride. Qualcuno che dimenticherà di dire alla gente che i nostri figli non sono tutelati nei loro affetti e nei loro beni.

I nostri figli sono qui con noi perché oggi è il giorno della festa : una grande e bella festa alla quale hanno diritto di partecipare, sono qui perché, in quanto famiglie, non è possibile separarci dal resto del mondo. Perché tutti i giorni, noi e i nostri figli, viviamo insieme alla gente, visibilmente, da padri gay e madri lesbiche ma … non siamo solo soltanto gay e lesbiche o trans !

I nostri figli sono qui perché siamo parte del tessuto sociale, perché siamo madri e padri e anche figli e figlie, siamo nipoti, cugini, siamo cittadini che lavorano, studiano, s’ammalano, siamo persone che perfino muoiono quando arriva il momento e che impazziscono perché non sanno che fine farà il figlio avuto con la compagna, perché non sanno se il figlio potrà ereditare dall’altro genitore di cuore, di pancia di testa ma non legale, non sa nemmeno se il compagno stesso sarà buttato fuori di casa da parenti ignari o poco rispettosi.

Ecco perchè sono qui i nostri figli : perché sono la nostra vita e noi siamo la loro, perché testimoniano e chiedono insieme a noi diritti e tutela che ci spettano che spettano loro. Sono qui perché hanno bisogno di certezze e di sicurezza. Ma più di tutto, sono qui perché desiderano rispetto e dignità per loro e per noi, loro genitori. Cosi come lo pretendono i genitori dell’AGEDO per i propri figli.



Ecco ! La gente deve cominciare a pensare in altri termini e non vederci come distorti fastidiosi !
E’ a loro che voglio parlare ora :
ricordatevi che siamo le vostre figlie e i vostri padri, siamo i vostri insegnanti, siamo architetti e commercianti, siamo i vostri vicini di casa che salutate ogni mattina col sorriso e quelle che comprano insieme a voi il giornale all’edicola sotto casa.

Siamo parte integrante di questa società, siamo persone a voi care ma spesso non sapete che siamo omosessuali. Non lo sapete perché abbiamo paura per noi, e per voi. Abbiamo paura di imbarazzarvi, abbiamo paura di non essere più amati da chi ci ama da sempre. Abbiamo paura di farvi del male.
E intanto, noi siamo ancora qui a gironzolare senza identità….

Quando finirà la festa, domani, molti di noi torneranno a casa, nel proprio quartiere, al lavoro, rimettendo la maschera dell’occultazione e a volte della bugia.
Ora se la politica non ci ascolta, se la politica ci insulta e ci ignora, è perché la gente che abbiamo intorno non ci sostiene e non ci protegge, perciò è verso la gente che dobbiamo andare ed è alla gente che dobbiamo parlare.

L’esperienza delle Famiglie Arcobaleno dimostra che andando verso la gente e dando loro fiducia, si riesce con pazienza e determinazione a superare l’imbarazzo, la vergogna, la delusione di chi ci ama e di chi ci sta vicino.

La gente non ci conosce, non vuole capire una cosa fondamentale : io sostengo che NON SIAMO UNA MINORANZA.

Siamo parte integrante di questo mondo, siamo parte della loro vita, da sempre ! Solo che ora vogliamo vivere alla luce del sole i nostri amori, le nostre relazioni, le nostre vite. E non è possibile estirparci come la gramigna ! Non siamo erbacce da buttare via ma siamo parte integrante delle vostre vite, siamo colori e luce, siamo ricchezza e varietà, siamo forza dirompente e creativa !

Dobbiamo costruire relazioni più vere con la gente : svegliamoci anche noi ! si togliamo il velo e siamo visibili ! per rispetto verso noi stessi. Noi delle Famiglie Arcobaleno l’abbiamo fatto per dovere e responsabilità verso i nostri figli, è tempo di farlo tutti quanti per rispetto e dovere verso noi stessi !


Allora avremo i diritti. E i doveri che ne conseguono.
Si, li avremo perché la politica demagoga e la chiesa demagoga non potranno più insultarci e ignorarci quando avremmo costruito una rete di accoglienza e di protezione. La vera libertà comincia da noi: siamo responsabili delle nostre vite. La dignità comincia dalla trasparenza, dalla chiarezza, dall’orgoglio, dalla visibilità.

Dobbiamo continuare a pretendere dialogo e ascolto da tutte le realtà politiche e sociali per ottenere pari diritti, laicità, dignità, ma prima di tutto dobbiamo convincerci che è attraverso la visibilità che riusciremo ad essere vivi davvero.

Facciamoci vedere. Togliamoci le maschere !

Buon pride a tutti
io sono quella col cappellino che tiene lo striscione e guarda a sinistra...

venerdì, giugno 13, 2008

ROMA val bene una messa....IN PIEGA !


Vado a Roma, anzi, precisamente a Frascati
C'è il

E, parlando di Roma, magari mi viene di parlare del papa e, parlando del papa, vorrei lasciarvi un articolo sul TESTAMENTO DEL CARDINALE, che, fosse stato lui il nostro papa, forse le cose sarebbero un pò diverse.
di Marco Politi, La Repubblica 19.5.2008
Io, le mie difficoltà con Dio

Da vescovo ha spesso chiesto a Dio: "Perché non ci dai idee migliori? Perché non ci rendi più forti nell'amore e più coraggiosi nell'affrontare i problemi attuali? Perché abbiamo così pochi preti?».
Oggi, entrato in uno stato d'animo crepuscolare, confida di domandare a Dio di non essere lasciato solo. Nell'ultima stagione della sua vita Carlo Maria Marini si confessa ad un confratello austriaco e ne nascono i "Colloqui notturni a Gerusalemme", appena editi da Herder in Germania, che rappresentano il suo testamento spirituale. Confessa di essere stato anche in conflitto con Dio, elogia Martin Lutero, esorta la Chiesa al coraggio di riformarsi, a non allontanarsi dal Concilio e a non temere di confrontarsi con i giovani. Un vescovo, rammenta, deve saper anche osare, come quando lui andò in carcere a parlare con militanti delle Brigate Rosse «e li ascoltai e pregai per loro e battezzai pure una coppia di gemelli di genitori terroristi, nata durante un processo».
Con padre Georg Sporschill, gesuita anche lui, l'ex arcivescovo di Milano è di una sincerità totale. Sì, ammette, «ho avuto delle difficoltà con Dio». Non riusciva a capire perché avesse fatto patire suo Figlio in croce. «Persino da vescovo qualche volta non potevo guardare un crocifisso perché !'interrogativo mi tormentava». E neanche la morte riusciva ad accettare. Dio non avrebbe potuto risparmiarla agli uomini dopo quella di Cristo?
Poi ha capito. «Senza la morte non potremmo darci totalmente a Dio. Ci terremmo aperte delle uscite di sicurezza». E invece no. Bisogna affidare la propria speranza a Dio e credergli. «Io spero di poter pronunciare nella morte questo SI a Dio» . Però, se potesse parlare con Gesù, Carlo Maria Martini gli chiederebbe «se mi ama nonostante le mie debolezze e i miei errori e se mi viene a prendere nella morte, se mi accoglierà». I discorsi di Gerusalemme sono come un lungo simposio notturno, senza bevande, alimentati soltanto dallo scorrere dei ragionamenti, rassicurati dalle ombre calde di una sera che si prolunga fino all'alba.
C’è stato un tempo racconta in cui «ho sognato una Chiesa nella povertà e nell'umiltà, che non dipende dalle potenze di questo mondo. Una Chiesa che concede spazio alle gente che pensa più in là. Una Chiesa che da coraggio, specialmente a chi si sente piccolo o peccatore. Una Chiesa giovane. Oggi non ho più di questi sogni. Dopo i settantacinque anni ho deciso di pregare per la Chiesa».
Eppure a ottantun anni il cardinale, grande biblista, non rinuncia a suggerire alla Chiesa di avere coraggio e di osare riforme. E’ essenziale avere la capacità di andare incontro al futuro. Il celibato, spiega, deve essere una vera vocazione. Forse non tutti hanno il carisma. Affidare ad un parroco sempre più parrocchie o im-portare preti dall'estero non è una soluzione. «La Chiesa dovrà farsi venire qualche idea. La possibilità di ordinare viri probati (cioè uomini sposati di provata fede, ndr) va discussa». Persino il sacerdozio femminile non lo spaventa.
Ricorda che il Nuovo Testamento conosce le diaconesse. Ammette che il mondo ortodosso è contrario. Ma racconta anche di un suo incontro con il primate anglicano Carey, al tempo in cui la Chiesa anglicana era in tensione per le prime ordinazioni di donne - sacerdote (avversate dal Vaticano). «Gli dissi per fargli coraggio che questa audacia poteva aiutare anche noi a valorizzare di più le donne e a capire come andare avanti«».
Sul sesso il cardinale invita i giovani a non sprecare rapporti ed emozioni, imparando a conservare il meglio per l'unione matrimoniale, ma non ha difficoltà a rompere tabù, cristallizzatisi con Paolo VI, Wojtyla e di Ratzinger. «Purtroppo l'enciclica Humanae Vitae ha provocato anche sviluppi negativi. Paolo VI sottrasse consapevolmente il tema ai padri conciliari». Volle assumersi personalmente la responsabilità di decidere sugli anticoncezionali. «Questa solitudine decisionale a lungo termine non è stata una premessa positiva per trattare i temi della sessualità e della famiglia». A quarant' anni dall' enciclica, dice Martini, si potrebbe dare «un nuovo sguardo» alla materia. Perché la Bibbia, ricorda, è molto sobria nelle questioni sessuali. Assai netta è soltanto nel condannare chi irrompe, distruggendo, in un matrimonio altrui. Chi dirige la Chiesa, sottolinea, oggi può «indicare una via migliore dell'Humanae Vitae». Il Papa potrebbe scrivere una nuova enciclica. E l'omosessualità? Il porporato ricorda le dure parole della Bibbia, ma rammenta anche le pratiche sessuali degradanti dell'antichità. Poi aggiunge delicatamente: «Tra i miei conoscenti ci sono coppie omosessuali, uomini molto stimati e sociali. Non mi è stato mai domandato né mi sarebbe venuto in mente di condannarli». Troppe volte, soggiunge, la Chiesa si è mostrata insensibile, specie verso i giovani in questa condizione.
C'è un filo rosso che lega i suoi ragionamenti nella quiete di Gerusalemme. I credenti non hanno bisogno di chi instilli loro una cattiva coscienza, hanno bisogno di essere aiutati ad avere una «coscienza sensibile». E vanno stimolati continuamente a pensare, a riflettere.
«Dio non è cattolico», era solita esclamare Madre Teresa. «Non puoi rendere cattolico Dio», scandisce Martini. Certamente gli uomini hanno bisogno di regole e confini, ma Dio è al di là delle frontiere che vengono erette. «Ci servono nella vita, ma non dobbiamo confonderle con Dio, il cui cuore è sempre più largo».
Dio non si lascia addomesticare. Se questa è la prospettiva ci si può rivolgere con spirito più aperto al non credente o al seguace di un' altra religione. Con chi non crede ci si può confrontare sui fondamenti etici, che lo animano. Ed è bello camminare insieme a chi ha una fede diversa.
«Lasciati invitare ad una preghiera con lui - suggerisce con mitezza Martini - portalo una volta ad un tuo rito. Ciò non ti allontanerà dal cristianesimo, approfondirà al contrario il tuo essere cristiano. Non avere paura dell'estraneo».
Per il cardinale la grande sfida geopolitica contemporanea è lo scontro delle civiltà. Conoscono davvero i cristiani il pensiero e i pensieri dei musulmani - si chiede Martini e come fare per capirsi? Tre sono le indicazioni. Abbattere i pregiudizi e !'immagine del nemico, perché i terroristi non possono davvero fondarsi sul Corano. Studiare le differenze. Infine avvicinarsi nella pratica della giustizia, perché l'Islam in ultima istanza è una religione figlia del cristianesimo così come il cristianesimo è figliato dal giudaismo.
La regola aurea del cristiano - Martini lo ribadisce in questo suo scritto che assomiglia tanto ad un testamento spirituale - è «Ama il tuo prossimo come te stesso». Anzi, spiega con la precisione dello studio-so della Bibbia, Gesù dice di più: «Ama il tuo prossimo perché è come te». Da lì sorge l'imperativo a praticare giustizia. È terribile, insiste Martini, invocare magari Dio nella costituzione europea, e poi non essere coerenti nella giustizia. Equi il cardinale di Santa Romana Chiesa tira fuori il Corano elegge la splendida sura seconda. Non si è giusti, se ci si inchina per pregare a oriente o a occidente. Giusto è colui che crede in Allah e nell'Ultimo Giudizio. Giusto è colui che «pieno di amore dona i suoi averi ai parenti, agli orfani, ai poveri e ai pellegrini». Chi fa l' elemosina e riscatta gli incarcerati.
«Costui è giusto e veramente timorato di Dio». Poi torna riflettere sull'Al di là. C'è l'Inferno? Sì. «Eppure ho la speranza che Dio alla fine salvi tutti». E se esistono persone come un Hitler o un assassino che abusa di bambini, allora forse l'immagine del Purgatorio è un segno per dire: «Anche se tu hai prodotto tanto inferno (sulla terra) forse dopo la morte esiste ancora un luogo dove puoi essere guarito». Non finirebbero mai i discorsi notturni di Gerusalemme. Lo si capisce dall'andamento quieto delle domande e delle risposte. Come onde che si susseguono. Martini nel frattempo è rientrato in Lombardia, fiaccato dal Parkinson. A chi lo ascolta, lascia questo segnale: «Possiamo anche lottare con Dio come Giacobbe, dubi-tare e dibatterci come Giobbe, rattristarci come Gesù e le sue amiche Marta e Maria. Anche questi sono sentieri che portano a Dio».

martedì, giugno 03, 2008

fiumi sopra il livello di guardia


Sono stata nel Monferrato.
Per caso, ho ritrovato un'amica che non vedevo da 16 anni. Ci lega un magico filo.
I fiumi che abbiamo attraversato erano in piena. Come il mio cuore sotto catena e le mie trattenute lacrime.
La mia amica, l'ho lasciata abbastanza ricca e l'ho trovata locandiera, proprio qui
fra i vigneti. Felicemente invecchiata.
E subito ho iniziato a pensare a qualche week end con tutti le mie care ed i miei cari.
Ma i fiumi sono in piena, e non mi va neanche di parlare.Figuriamoci sognare.
Io ho voglia di sentirmi amata.
desiderata
accettata
voluta
cercata
sognata
Ho bisogno di sentirmi amata.Come una donna che rappresenta il presente, un bel pò di passato e una speranza di futuro.Come una donna con la quale, quell'altra, ha scritto molti capitoli del libro.
Guardavo il Ticino ed il Po sopra il loro livello di guardia.
Come capita al mio cuore.
Ormai, troppo spesso.
Odio le alluvioni !
Fanno solo disastri, distruggono le risaie ed i loro pantani.